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È una Bologna D'Antan quella che ci accingiamo a visitare per conoscere e riconoscere il passato della nostra città, vale a dire il nostro passato. Così da Piazza Maggiore ci inoltriamo subito nel dedalo di stradine e vialetti che costituiscono il cuore urbano e conservano l'impronta antica della vita cittadina, nonostante le demolizioni, gli sventramenti, le modifiche operate nel lungo scorrere degli anni.

Oggi, questa porzione di città, delimitata da alcuni tra i più antichi e significativi monumenti bolognesi (la chiesa di San Petronio, Archiginnasio, che fu la prima sede “unitaria” dell'alma matta; Palazzo Re Enzo, ove fu rinchiuso il figlio di Federico II di Svevia, fatto prigioniero nella battaglia della Fossalta; palazzo dei bianchi, definito “il palazzo che non c'è” perché la sua elegante facciata, attribuita al Vignola, in realtà mimetizza e copre una serie di casette antiche, di origini medievali, che furono dei Lambertazzi , potente famiglia che capeggiava la fazione ghibellina; Palazzo della Mercanzia che fu sede del foro dei Mercanti e venne iniziato nel 1384 sotto la direzione di Antonio di Vincenzo e Lorenzo Di Bagno Marino), questa centralissima porzione di città, dicevamo, viene chiamata, per la sua conformazione: il Quadrilatero. Nella sua area permangono umori, odori, suoni di un ieri temporalmente lontano, ma ancora incredibilmente attuale, anche perché allora come ora è qui che Bologna -  città di commerci, di mercati, di terziario -  concentra l'essenza delle sue potenzialità economiche. Qui, dove -  come precisa Guidicini -  già nel 1446, prima che venisse costruito il Palazzo della Biada (la parte a sud del Palazzo Pubblico) si teneva il mercato delle granaglie, la toponomastica testimonia che vi avevano sede le arti cittadine e vi venivano esercitati importanti commerci: via degli Orefici, Caprarie, Drapperie, Calzolerie, Pescherie Vecchie, dei Ranocchi, Clavature. Ma prima del 1910 ( anno in cui iniziavano i lavori di demolizione, per l'allargamento e rinnovamento della principale arteria bolognese ) tutta la zona gravitava su strette e brevi strade dalle denominazioni eloquenti: via della Corda, via della Canapa, via Tosa Pecore, via Pelliccerie, via Zibbonerie, ( tutte ricche di fornitissimi e noti negozi ) e la famosissima e via Spaderie, lunga poche decine di metri, il cui ingresso, sul lato della quale via Rizzoli ( toponimo assente nel 1880) venne ostruito da un paracarro di marmo, che veniva chiamato il Fittone del Sindaco. Gli studenti dell'Alma Mater lo elessero a loro emblema e quando via spaderie scomparve ne ottennero il trasferimento in via Zamboni all'inizio del portico della sede centrale dell'Università.

 

Da tempi lontanissimi si chiamò mercato di mezzo lo spazio cittadino che aveva la sua spina dorsale nell'omonima via (larga dai 5 ai sette metri percorsa da un binario di tram a cavalli) e se ne sono scomparse la grande pescheria attrezzata con grandi tavoli di marmo e scolo per l'acqua, le famosissime torri Riccadonna, Artemisi e Guidabagni attigue a Piazza della Mercanzia, il frequentatissimo caffè dei cacciatori in cui si davano appuntamento fin dalle prime ore del mattino i cavallari (sensali, venditori, compratori, appassionati dei cavalli ) sono -  per fortuna, rimaste altre preziose testimonianze del passato: le “buche” dei fruttivendoli  aperte nella muraglia di quello che fu L’Ospedale della Vita; un classico esempio ( in via Clavature in angolo con via Drapperie ) della genesi  dei portici bolognesi, dallo sporto su semplici travetti, al portico vero e proprio; in fondo a via clavature, chiuso nel 1684 su il portone di legno ancora visibile, l'anonimo vicoletto che conduce a via Castiglione e che forse è la più stretta via di Bologna: ha una larghezza minima di metri 1,90 e conserva la pavimentazione medioevale a mattoni posati di coltello. È vero, peraltro, che la storia del “Quadrilatero” si rivide non solo nella realtà architettoniche superstiti o delle quali resta il ricordo, ma anche rievocando gli eventi -  maggiore o minori -  che in questo spazio si sono verificati nel corso dei secoli. In fondo alle Clavature -  ad esempio -  c'era l'antica locanda del leone, nei cui locali, nel 500, si trasferì temporaneamente la Zecca di Bologna, fino ad allora attiva al piano terreno dell'Ospedale della Vita; nei pressi del mercato di mezzo c'era il forno della Ditta Castagnari che durante tutta la notte sfornava croccanti crescentine al prosciutto vendute attraverso una piccola buchetta; nell'attuale via De’ Toschi,  ci fu un'osteria, nota a tutti bolognesi come “l'Offesa di Dio” o semplicemente “L’Ufeisa”, perché questo nome? Perché l’oste, avendo colto la bella moglie in flagrante adulterio nell'abitazione sovrastante il locale, puntando il dito verso il crocefisso appeso sulla testata del letto disse lamentosamente: “va bene il torto che fai a me, ma non pensi all'offesa che fai a Dio?”, e tornò mesto a servire i clienti. È tempo di dire “stop”. Il nostro girovagare nel Quadrilatero è stato abbastanza lungo e ci ha consentito anche di constatare che permangono, in questa fascinosa sorta di Suk Petroniano, esercizi commerciali antichissimi come l'Osteria del Sole ( all'Archivio di Stato è stata trovata una carta del 1465, che attesta come l'Osteria del Sole fosse già in esercizio, proprio lì in via dei Ranocchi, un tempo chiamata Borgadello), la libreria Veronese, l’aguzzeria del cavallo ( attiva dal 1783 ), che perpetuano alla fama di zona privilegiata ed espressione della vitalità economica petroniana. Ora facciamo tappa in uno dei piccoli bar e ristoranti che sempre più numerosi hanno “sciorinato” i propri tavolini nelle stradine dal fascino e dalla vitalità plurisecolari, per fare un brindisi alla vecchia, cara Bologna e darci appuntamento col prossimo tour.

da "Svela Bologna" di Settembre 2003

 

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